IMPERMEABILITA’: COME RESISTERE ALL’ACQUA

Dal contatti cin l’acqua alle immersioni in profondità, la storia (breve) dello sviluppo degli orologi subacquei

Ma a cosa serve un orologio resistente all’acqua? Domanda banale, addirittura sciocca per alcuni. Perché, in fondo, evito di indossarlo quando sto compiendo delle azioni che mi possono portare a contatto con l’acqua (lavarsi le mani, il più banale, o farsi una doccia). Ma se poi appartengo alla categoria di quanti l’orologio non se lo tolgono mai, forse quella domanda lì non è poi tanto inutile. Ecco, aggiungete che da sempre – nei tempi moderni, non quelli di Chaplin – gli appassionati di orologi, a cominciare proprio da chi li costruisce, sanno che metterli a contatto con acqua e umidità non fa loro bene. I loro meccanismi, anche quelli non da alta orologeria, vanno preservati e mantenuti perfettamente asciutti. Un imperativo che accompagna la storia costruttiva dei segnatempo. Non soltanto, quindi, dei più o meno esclusivi cronografi waterproof, impermeabili per professione (quelli con la lunetta girevole, la corona che si avvita ecc.)

scuba diving

Entrando un po’ più a fondo, i dettagli tecnici di alcune macchine destinate alle immersioni subacquee possono essere molto interessanti anche per chi cerca un orologio da tutti i giorni. A partire proprio dall’anello debole del meccanismo, quello più a contatto con l’esterno: la corona. Da qui, a meno di improbabili difetti di costruzione nell’assemblaggio, potrebbero iniziare i problemi: acqua, con successiva formazione di umidità interna e granellini di polvere anche infinitesimali potrebbero, prima o poi, far comparire ruggine o causare problemi a ingranaggi e molle.

Le soluzioni per questo tipo di problemi, e le invenzioni delle diverse case di orologeria, si sono rincorse e sviluppate negli anni. Dalle guarnizioni all’impiego della valvola per far uscire il gas dopo l’immersione, la tecnologia ha fatto passi enormi.

Partendo da lontano, e riferendoci a orologi da polso, citazioni storiche sull’argomento ci riportano al 1920 circa, quando Rolex iniziò a porsi il problema dell’impermeabilità. Come lo risolse? Ricorrendo a qualcosa di semplice, per allora: sigillarlo. L’esempio fu un piccolo orologio con una cassa esterna che lo racchiudeva, attraverso un coperchio a chiusura a vite. Trovata sicuramente ingegnosa, ma poco pratica, visto che per caricare l’orologio era necessario ogni volta rimuovere il coperchio. Col risultato che filettature e viti, a causa dell’usura dei materiali di allora, perdevano molte delle loro caratteristiche. Arrivare all’impermeabilizzazione dell’intera macchina era ancora lontano negli anni, In effetti un brevetto del 1903, di un artigiano di Ginevra – François Borgel – inseriva nei suoi disegni delle parti dell’orologio con ghiere filettate e fondello avvitato, senza ricorrere alla cassa esterna. E’ del 1925, invece, l’idea originale che riguardava il vero punto critico: la corona. Paul Perregaux e Georges Perret introdussero la corona a vite, ma l’importante passo in avanti non risolse del tutto i guai. Soprattutto perchè i materiali utilizzati in quegli anni non garantivano una tenuta a lungo nel tempo.

Hans_Wilsdorf ROLEX

L’intuizione risolutiva fu di Hans Wilsdorf, fondatore e direttore di Rolex, che mise insieme le invenzioni di Perregaux e Perret con i disegni dei brevetti degli altri inventori svizzeri. Acquisti i diritti, sviluppò la sua idea per la corona a vite e la  brevettò (con una guarnizione esterna e, successivamente, con una soluzione riguardante la neutralizzazione del movimento quando la corona veniva svitata). Wilsdorf colse poi l’occasione della storia, facendo indossare il suo Rolex Oyster con cassa sigillata alla nuotatrice inglese che attraversò il Canale della Manica, Mercedes Gleitze, che lo ebbe al collo – come una collana – durante l’impresa per oltre 10 ore.

Quell’impresa, e soprattutto il ritorno pubblicitario – che oggi definiremmo mediatico – spinsero altre maison dell’epoca a impegnarsi sul comparto waterproof.

Come Omega, che aveva iniziato da tempo a occuparsi di attività legate al lavoro in immersione.  La sua scelta di fu in direzione dell’involucro esterno, filosofia costruttiva che sviluppò e portò a compimento realizzando il Marine Chronometer nel 1932, adatto a essere utilizzato per immersioni in acque profonde. Particolare dell’orologio Omega, le due parti collegate tra loro e un vetro fronte zaffiro sintetico, chiaramente un importante passo avanti in termini di affidabilità rispetto a qualsiasi altro materiale utilizzato al momento. Come sfida per testare il proprio prodotto, Omega immerse i Marine prima in acqua quasi bollente, poi li trasferì a una profondità di 70 metri sott’acqua nelle gelide acque del lago di Ginevra per 30 minuti. Alle fine erano ancora  perfettamente funzionanti e senza una traccia di acqua all’interno.


Se il Rolex Oyster fu il primo orologio da polso impermeabile, e il Marine Chronometer di Omega si rivelò molto adatto alle immersioni professionali, sono gli sviluppi degli anni successivi a portarci agli orologi impermeabili che vediamo sul mercato oggi. Tutto o quasi parte dall’invenzione del 1942 di Jacques Cousteau e Émile Gagnan, l’aqua-polmone. I due sub sperimentano il primo respiratore a circuito aperto, idoneo per le immersioni fino a meno 60 metri (o circa 180 piedi) senza collegamento con la superficie. Questo portò a un enorme sviluppo e popolarità delle attività subacquee, in tutto il mondo. Sviluppo che marciò di pari passo anche con quello degli orologi da polso. Fino ai diver dei nostri giorni, sempre più sofisticati e professionali. Destinati non solo a chi fa attività da scuba, ma anche a chi li indossa con lo smoking.

(Tutte le immagini da Pinterest)